Le guerre jugoslave (1991-1999)

Alla fine del Novecento il territorio della penisola balcanica che era stato la Jugoslavia diventa teatro del conflitto più sanguinoso che colpisce l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. A contrapporsi sono popolazioni che dal 1945 al 1980 avevano convissuto sotto un regime comunista a partito unico: la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, guidata dal maresciallo Josip Tito. A nord Slovenia e Croazia: ricche, cattoliche, con un passato asburgico e poi di stampo fascista. A sud Bosnia, Montenegro e Macedonia: povere, a maggioranza musulmana, ex province ottomane. Attorno alla capitale Belgrado la Serbia: ortodossa, comunista e con un ruolo politico predominante. Una situazione composita a cui si aggiunge il tema delle minoranze etniche e religiose e che un detto popolare riassume così:

La Jugoslavia è formata da sei repubbliche, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito

Nel 1980 la morte di Tito fa emergere tensioni dormienti che esplodono nel 1990, anno in cui si svolgono le prime libere elezioni che vedono l’affermazione di forze autonomiste. Contro queste spinte indipendentiste è, in particolare, la Serbia di Slobodan Milošević, mal disposta a tollerare che l’emancipazione delle nazionalità emergenti mettesse in discussione la supremazia serba.

25 giugno 1991: Slovenia e Croazia proclamano l’indipendenza: inizia un conflitto che durerà fino al 1999 e del quale è, ancora oggi, difficile stimare il numero di vittime e di profughi.

La risposta dell’esercito serbo è immediata ma la questione slovena si risolve in pochi giorni. Le cose si complicano quando il conflitto si sposta nella Croazia di Franjo Tuđman: la minoranza serba presente nel territorio autoproclama la provincia autonoma di Krajina che Milošević sostiene con l’invio di truppe. Sotto la superficie del conflitto militare corre lo scontro tra eserciti irregolari: le serbe “tigri di Arkan” e le “legioni nere” croate sono formazioni paramilitari che si macchiano di atrocità d’ogni genere. Emerge qui per la prima volta il carattere di sistematica pulizia etnica che caratterizza, fino alla fine degli anni Novanta, le guerre in questi territori.

1 marzo 1992

La Bosnia Erzegovina
proclama la sua indipendenza

Nel marzo del 1992, alla proclamazione d’indipendenza della Bosnia Erzegovina, si apre il teatro di guerra più sanguinoso. Paese a maggioranza musulmana, abitato anche da serbi ortodossi e croati cattolici, è investito da una violenza inaudita contro la popolazione civile musulmana. Le forze serbe assediano Sarajevo per anni e nel 1995 si macchiano del massacro di Srebrenica, dove oggi sorge il sito memoriale Memorjalni Centar Srebrenica; i croato-bosniaci infieriscono, invece, nella zona di Mostar.

La copertura mediatica è globale: l’impatto delle immagini dei bombardamenti e la scoperta di campi di concentramento spinge a una mobilitazione internazionale.

Il 30 agosto 1995 inizia il raid Nato che obbliga le forze contendenti a sedere al tavolo delle trattative. Nello stesso anno gli accordi di Dayton portano alla firma della pace tra Serbia, Croazia e Bosnia musulmana.

Nel 1998 si apre l’ultimo episodio del conflitto: alla protesta autonomista del Kosovo, la Serbia risponde con una repressione durissima, ma nel marzo 1999 una nuova, e contestata, operazione delle forze Nato si conclude a giugno con il ritiro delle truppe serbe.

Contenuti correlati

Un concerto per resistere: Rok pod Opsadom

gennaio 1995 Radio Zid di Sarajevo organizza il concerto Rok pod Opsadom

Prove generali di un conflitto. Dinamo Zagabria-Stella Rossa

13 maggio 1990 – Big match Dinamo Zagabria, Stella Rossa

Una “guerra nella guerra”. Il ponte di Mostar

9 novembre 1993 – Distruzione dello Stari Most di Mostar

Guerra e terrorismo

Oggi
  • Gli attacchi ai luoghi del tempo libero

    Parigi, Nizza, Berlino, Manchester, Barcellona... Dal 2015 al 2017 l'Europa è attraversata da attacchi ai luoghi del tempo libero.

  • La satira sotto attacco: Charlie Hebdo

    7 gennaio 2015 - Attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo